Dunque secondo una parte rilevante dell'opinione pubblica "è tutto a posto" e dunque, senza alcuna previsione normativa ad hoc, un organo giudiziario può attualmente decidere sulla presunzione di volontà altrui di morire...
ma questa interpretazione dove ci può condurre?
quale è il limite "legale" della sospensione di qualsiasi trattamento (non tanto curativo, ma anche di tipo alimentare-idratante) "a favore" di altro soggetto?
il parametro è la mancanza di una vita dignitosa "pensante" recuperabile?
allora lo si può fare per il demente, il malato di parkinson, il malato di tumore al cervello...
possiamo dunque smettere di alimentare chiunque sia privo della capacità di alimentarsi da solo "persistentemente da almeno un anno" e quindi con prognosi di "stato permanente", al limite già con prognosi nefasta, la cui incertezza è limitata solo al quantum temporale?
e se è così, qualcuno, magari facendo un bel "collegato alla finanziaria", potrebbe forse affermare che:
"appalesandosi superflue e dannose per la prolungata sofferenza di ciascun individuo, nonchè inutilmente dispendiose con riguardo alle limitate risorse pubbliche, debbono essere interrotte alimentazione, idratazione e somministrazione di farmaci e cure in genere a tutti i soggetti che si trovino persistentemente da almeno un anno, con prognosi di permanenza, in stato di assenza di utile capacità di autodeterminazione"...?
L'ovvio corollario sarebbe altresì quello di togliere qualsiasi sussidio pubblico alle assistenze private a simili soggetti (a dire il vero, secondo tale considerazione, ben più oggetti che soggetti)...
Ci potremmo fare chissà quante finanziarie, a ragionar così: tra spese dirette ed indirette lo Stato risparmierebbe miliardi di euro...si potrebbero clamorosamente abbassare le tasse...
Ci sarebbe un solo, "piccolo", disvalore: la perdita totale di valore del senso di umanità, ma ormai, per tale fetta dell'opinione pubblica, conta ancora qualcosa?
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